Pensavo ieri sera al fatto che sono passati 33 anni dalla prima volta che vidi Piero Pelù cantare dal vivo, al Teatro Olimpico di Roma, in uno dei primissimi concerti rock a cui ho assistito con amici, senza genitori, in un primo assaggio di gioventù e libertà tardoadolescenziale.
Adoravo i Litfiba di quegli anni, la loro formazione era per me un po’ come quella del Grande Torino, da recitare a memoria: PelùRenzulliAiazziMaroccoloDePalma.
Adoravo la loro musica rock mediterranea, i loro testi politici e poetici, l’energia che sprigionavano sui dischi e sul palco. Quei 4 album (e mezzo) li so ancora oggi a memoria, nota per nota, parola per parola.
Quando a fine anni 80 quei Litfiba finirono, io scelsi il partito MaroccoloDePalma, confluiti nei CSI, e abbandonai la corrente PelùRenzulli, della cui produzione musicale degli ultimi trent’anni non so praticamente nulla.
Ciò non toglie che per Piero Pelù io abbia continuato ad avere un affetto e un rispetto speciali, perché è sempre rimasto coerente e sincero in tutto quello che ha fatto, che io lo abbia condiviso oppure no. E anche perché le canzoni dei “miei” Litfiba io ho continuato ad ascoltarle e soprattutto a cantarle in ogni momento della mia vita.
Nei frequenti viaggi in macchina che faccio su e giù per l’Italia è quasi impossibile che uno di quei 4 album (e mezzo) non passi per gli altoparlanti del mio impianto, ed è assolutamente impossibile che in quei frangenti io stia zitto ad ascoltare senza rovinarmi la gola appresso alla furia gentile di Piero Pelù.
Pelù è talmente presente nella mia vita che io, da anni, ho ribattezzato il suono della sirena delle ambulanze “pieropelùùù, pieropelùùù, pieropelùùù…” – che per inciso trovo molto migliore del banale “neni neni” tanto di voga su twitter. Ma questo non c’entra.
Quando sentii, un mesetto fa, che Piero Pelù avrebbe partecipato in gara a Sanremo 2020, ne fui inspiegabilmente felice. Forse sapevo già che avrebbe portato su quel palco semplicemente sé stesso, restando coerente con la sua poetica e la sua sfrontataggine così teneramente rockettosa, anche oggi che si sta avvicinando ai 60 anni ed è diventato nonno.
Sono riuscito ad ascoltare la sua canzone “Gigante” solo ieri sera e la sto riascoltando in questo momento: era difficile fare un pezzo che potesse funzionare a Sanremo e che avesse l’impronta 100% Pelù, ma l’operazione è perfettamente riuscita. La canzone è bella, orecchiabile, potente e poetica: Pelù la racconta molto bene in questa bella videointervista rilasciata a Rolling Stone, per cui non aggiungo altro.
Clicca qui per vedere l’esibizione di Piero Pelù a Sanremo in “Gigante”
Ma la cosa migliore fatta dal buon Piero in questa settimana sanremese è stata l’esibizione di giovedì sera nella cover di Cuore Matto, in cui ha in parte duettato con Little Tony in filmato sanremese d’epoca. Performance davvero clamorosa, per intensità e per precisione. Un gigante lui, davvero, anche la scelta di quel pezzo come esempio di un uomo distrutto dal dolore per un amore finito ma che non rivolge il suo risentimento verso la donna amata. Tra le tante dichiarazioni ed esibizioni contro la violenza di genere che hanno caratterizzato questo 70° Festival, la sua mi è sembrata quella più sincera.
Clicca qui per vedere l’esibizione di Piero Pelù a Sanremo in “Cuore Matto”
Non so se stasera Piero Pelù vincerà il Festival di Sanremo: sinceramente, mi sembra difficile, per quanto la cosa mi farebbe enormemente piacere. A lui non gliene può fregare di meno, lo ha dichiarato apertamente nell’intervista a Rolling Stone che ho citato prima e io sono certo che abbia detto la verità.
Ma quanto sarebbe bello?