Ho sempre pensato, e continuo a pensarlo anche adesso, che la Brexit sia il più madornale errore storico politico della storia europea degli ultimi 70 anni. Una scelta assurda, incomprensibile, presa sull’onda di una campagna informativa piena di bugie e approssimazioni, slogan superficiali e pressapochisti, emotività e populismo.
Eppure, a 3 anni e mezzo da quel rovinoso referendum, devo ammettere che quanto accadrà stanotte riflette, purtroppo, la volontà della maggioranza dei britannici. Forse sono stati presi per sfinimento dalla mancanza di carisma di Theresa May e dagli incredibili tentennamenti di Jeremy Corbyn. Fatto sta che è bastato un pagliaccio volitivo e chiacchierone come Boris Johnson per far virare l’elettorato verso la prospettiva di uscire da questo lunghissimo addio, con la sua promessa di “get Brexit done”.
Tre parole. Tre parole ripetute fino alla nausea e in qualsiasi contesto. Una idea sola, ma espressa chiaramente, senza possibilità di equivoco. E ha vinto così. Il destino di una nazione e di un continente racchiusi in uno slogan di tre parole. Lo specchio della ormai totale incapacità di gran parte della popolazione (non solo britannica) di analizzare e di riflettere sulla complessità delle cose.
Una grande tristezza mi riempie il cuore. Nei miei 50 anni di vita ho sempre visto l’Europa come un ideale cui convergere e non qualcosa da cui fuggire. L’uscita del Regno Unito dalla UE segna l’inizio di una strada inesplorata e tortuosa, che secondo me porterà, nel giro di non molti anni, alla disgregazione dello stesso Regno Unito (di cui resterà, forse, una very Little Britain) e forse alla fine della stessa Unione Europea.
Cosa cazzo ci sia da festeggiare, in tutto ciò, proprio non lo capisco.