Nelle scorse settimane ho letto con molto interesse la miniserie, composta da due post lunghi e articolati, scritta dai Wu Ming sul loro blog “Giap”, intitolata “L’amore è fortissimo, il corpo no. 2009 – 2019, dieci anni di esplorazioni tra Giap e Twitter” (qui trovate la prima parte, qui invece la seconda).
La lettura ha scatenato in me una serie di pensieri sulla dipendenza comunicativa che ho sviluppato negli ultimi 10 anni nei confronti di Facebook, arrivando ad abbandonare il mio blog “Flatulenze Cerebrali”, che pure esiste da novembre 2005. Facebook mi ha dato tanto in questi anni, e io l’ho usato sempre di più. Ogni giorno che passa mi rendo conto di come questo mio abuso abbia permesso a Facebook di prendere possesso – letteralmente – della mia vita relazionale. Facebook sa di me, probabilmente, molto più di qualsiasi altra persona o azienda al mondo. Facebook sa, conserva, ricorda, cataloga TUTTO. E usa tutto questo per fare soldi, per cercare di fare vendere qualunque cosa ai suoi inserzionisti, arrivando a proporre pubblicità di beni o servizi attinenti a cose di cui abbiamo magari solo parlato in casa avendo lo smartphone accanto (su come facebook ottiene miriadi di informazioni anche da altre app Android, se vi va leggete questo articolo).
“E lo scopri adesso?”, mi chiederete giustamente. No, ma ne ho preso coscienza. E ho deciso quindi che da oggi cercherò di limitare il più possibile la mia presenza attiva su Facebook. Vale a dire che quello che ho da scrivere, quello che voglio dire, quello che mi passa per la testa, lo scriverò qui, sul mio blog. Userò facebook (e forse twitter, che però ho sempre usato pochissimo) solamente per linkare i miei post e per continuare a seguire le persone che mi interessano davvero, cercando di limitare al massimo anche le interazioni.
Sarà un esercizio di disciplina difficile e soggetto a tanti possibili strappi (più o meno consapevoli) alla regola che mi sto dando. E ovviamente non chiedo a nessuno di seguirmi su questa strada: vi invito a riflettere e a venirmi a leggere qui, se vi va.
La tossicità dei social media è, a mio avviso, uno dei principali motivi della “superficializzazione” della comunicazione politica e della politica stessa. Senza volermi ritirare in una torre d’avorio o su un ipotetico Aventino, voglio cercare di togliere il mio contributo al caos, per cercare anche io, come i Wu Ming (citando una frase sentita nell’ultima assemblea nazionale di Non Una di Meno), «uno spazio di calma dentro l’urgenza».